Amiamo tutti in qualche misura le storie di avventura. Ci piace vederle al cinema o in tv, leggerle nei libri, ammirarle sui social, a volte imitarle, più spesso semplicemente invidiarle; non si può neppure escludere che qualcuno se ne interessi nell’attesa dell’incidente, dell’imprevisto, della disgrazia.
Ma salvo rare eccezioni, pochi sono disposti a giocare tutto se stessi nel fascino ignoto dell’avventura.
Avventura significa rischio, significa incertezza, significa sacrifici e privazioni; chiede di mettere nel conto la delusione, l’errore e l’inganno, il fallimento e l’insuccesso.
Chiede tempi lunghi. Va preparata, vissuta e poi bisogna tornare a raccontarla.
Quando parlo di avventura non intendo certo gli sfizi, le scappatelle o i flirt che ci godiamo nella vita, senza troppo impegno e responsabilità, senza doveri o vincoli, quando ci muoviamo in un parco giochi o sulla giostra; perché quando parlo di avventura non intendo i divertimenti che ci concediamo nella speranza di guadagnarci qualche briciola di felicità: un po’ di brivido, un po’ di paura, qualche risata, ma poi si scende o si spegne la consolle.
Ci stanno, non voglio demonizzarli, ma non portano lontano. Semplicemente ci distraggono dalla pesantezza della vita; alleggeriscono la stanchezza.
Anche il Natale forse è stato per molti poco più che un divertimento; uno svago, un diversivo, un modo straordinario per passare il tempo, per immaginare e sognare una vita diversa, prima di ripiombare nella solita routine.
Il tempo del Natale che oggi si chiude è stato un tempo santo per chi crede, ma per tutti è stato anche in qualche misura un tempo di vacanza.
Tornando alla voglia di avventura intesa nel senso più nobile del termine, certamente capaci di avventura sono quegli uomini chiamati Magi, venuti da oriente a Gerusalemme con una domanda nel cuore che guida i loro passi: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
Questa domanda, mentre muove i passi dei magi, turba il cuore di Erode e con lui di tutta Gerusalemme.
Fingono interesse: riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo.
Fingono ammirazione e complicità: chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella.
Fingono perfino coinvolgimento e partecipazione: Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo.
Fingono e per questo nessuno di loro troverà e saprà davvero chi è quel bambino.
La storia ci consegna più informazioni su Erode e su Gerusalemme, che sui Magi.
Più facilmente si ricordano i potenti; si ricordano i sapienti, gli esperti, coloro che si pongono come maestri e guide.
Sono partiti dalle loro terre per seguire la traccia esile e, vien da pensare anche mutevole, di una stella verso un incontro non immaginabile e prevedibile; prima dell’arrivo a Gerusalemme non sappiamo nulla di loro; e, dopo l’incontro con quel bambino, davanti a cui si inginocchiano per adorarlo e davanti a cui aprono i loro scrigni per offrire i loro tesori, scompaiono, tornando tra l’altro per un’altra strada, là da dove erano venuti.
In barba a chi sogna di andare su Marte o di tornare sulla luna, di conquistare terre muovendo guerra o di guadagnare montagne di soldi di cui non si capisce che uso poi bisognerebbe fare, questi uomini ci insegnano che una delle ultime vere avventure rimaste in questo mondo è esattamente quella di cercare Dio.
Farà ridere a molti questa cosa: parrà inutile ad altri; qualcuno ancora la riterrà semplicemente fuori moda. Tutti insieme ti diranno che Dio è un’invenzione.
I Magi oggi ci dicono che Dio non è un’invenzione, ma una scoperta.
Direbbe sant’Agostino, una scoperta mai finita, perché accade sempre che, dopo averlo trovato, lo dobbiamo cercare ancora e poi ancora.
Ma non è forse questo il bello? Il non essere mai arrivati, il non aver mai conosciuto tutto, il non poterci mai accontentare di quello che sappiamo, il dover ogni volta percorrere strade nuove e diverse lungo le quali Dio stesso cancella il senso di monotonia, ogni conformismo, ogni abitudine e perfino ogni tradizione.
I Magi hanno provato a mettere in guardia Gerusalemme, il suo re e i suoi sapienti dal rischio di abitare il quotidiano senza sapersi più sorprendere e meravigliare di nulla, fermi su quello che si crede di conoscere, assuefatti e attenti a non lasciar troppo spazio a Dio e alle sue sorprese, preoccupati di difendere ciò che abbiamo già conquistato.
Non sono stati ascoltati.
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