Epifania

Alza gli occhi intorno e guarda

Amiamo tutti in qualche misura le storie di avventura. Ci piace vederle al cinema o in tv, leggerle nei libri, ammirarle sui social, a volte imitarle, più spesso semplicemente invidiarle; non si può neppure escludere che qualcuno se ne interessi nell’attesa dell’incidente, dell’imprevisto, della disgrazia.
Ma salvo rare eccezioni, pochi sono disposti a giocare tutto se stessi nel fascino ignoto dell’avventura. 
Avventura significa rischio, significa incertezza, significa sacrifici e privazioni; chiede di mettere nel conto la delusione, l’errore e l’inganno, il fallimento e l’insuccesso.
Chiede tempi lunghi. Va preparata, vissuta e poi bisogna tornare a raccontarla.
Quando parlo di avventura non intendo certo gli sfizi, le scappatelle o i flirt che ci godiamo nella vita, senza troppo impegno e responsabilità, senza doveri o vincoli, quando ci muoviamo in un parco giochi o sulla giostra; perché quando parlo di avventura non intendo i divertimenti che ci concediamo nella speranza di guadagnarci qualche briciola di felicità: un po’ di brivido, un po’ di paura, qualche risata, ma poi si scende o si spegne la consolle.
Ci stanno, non voglio demonizzarli, ma non portano lontano. Semplicemente ci distraggono dalla pesantezza della vita; alleggeriscono la stanchezza.
Anche il Natale forse è stato per molti poco più che un divertimento; uno svago, un diversivo, un modo straordinario per passare il tempo, per immaginare e sognare una vita diversa, prima di ripiombare nella solita routine.
Il tempo del Natale che oggi si chiude è stato un tempo santo per chi crede, ma per tutti è stato anche in qualche misura un tempo di vacanza.
Tornando alla voglia di avventura intesa nel senso più nobile del termine, certamente capaci di avventura sono quegli uomini chiamati Magi, venuti da oriente a Gerusalemme con una domanda nel cuore che guida i loro passi: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 
Questa domanda, mentre muove i passi dei magi, turba il cuore di Erode e con lui di tutta Gerusalemme.
Fingono interesse: riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo.
Fingono ammirazione e complicità: chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella.
Fingono perfino coinvolgimento e partecipazione: Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo.
Fingono e per questo nessuno di loro troverà e saprà davvero chi è quel bambino.
La storia ci consegna più informazioni su Erode e su Gerusalemme, che sui Magi.
Più facilmente si ricordano i potenti; si ricordano i sapienti, gli esperti, coloro che si pongono come maestri e guide.
Sono partiti dalle loro terre per seguire la traccia esile e, vien da pensare anche mutevole, di una stella verso un incontro non immaginabile e prevedibile; prima dell’arrivo a Gerusalemme non sappiamo nulla di loro; e, dopo l’incontro con quel bambino, davanti a cui si inginocchiano per adorarlo e davanti a cui aprono i loro scrigni per offrire i loro tesori, scompaiono, tornando tra l’altro per un’altra strada, là da dove erano venuti.
In barba a chi sogna di andare su Marte o di tornare sulla luna, di conquistare terre muovendo guerra o di guadagnare montagne di soldi di cui non si capisce che uso poi bisognerebbe fare, questi uomini ci insegnano che una delle ultime vere avventure rimaste in questo mondo è esattamente quella di cercare Dio.
Farà ridere a molti questa cosa: parrà inutile ad altri; qualcuno ancora la riterrà semplicemente fuori moda. Tutti insieme ti diranno che Dio è un’invenzione.
I Magi oggi ci dicono che Dio non è un’invenzione, ma una scoperta.
Direbbe sant’Agostino, una scoperta mai finita, perché accade sempre che, dopo averlo trovato, lo dobbiamo cercare ancora e poi ancora.
Ma non è forse questo il bello? Il non essere mai arrivati, il non aver mai conosciuto tutto, il non poterci mai accontentare di quello che sappiamo, il dover ogni volta percorrere strade nuove e diverse lungo le quali Dio stesso cancella il senso di monotonia, ogni conformismo, ogni abitudine e perfino ogni tradizione.
I Magi hanno provato a mettere in guardia Gerusalemme, il suo re e i suoi sapienti dal rischio di abitare il quotidiano senza sapersi più sorprendere e meravigliare di nulla, fermi su quello che si crede di conoscere, assuefatti e attenti a non lasciar troppo spazio a Dio e alle sue sorprese, preoccupati di difendere ciò che abbiamo già conquistato.
Non sono stati ascoltati.
E noi che faremo?

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Ottava del Natale

se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto

Difficile resistere al rito del Capodanno; difficile resistere alla possibilità di pensare che “anno nuovo, vita nuova”; difficile non augurarsi che l’anno nuovo ci permetta di lasciarsi alle spalle problemi, preoccupazioni e affanni; naturale desiderare che porti novità buone; difficile non fare propositi e prevedere e augurarsi traguardi e obiettivi. È un desiderio legittimo quello di desiderare sempre il meglio, ma a volte ho l’impressione che questo augurio di un anno buono sia più spinto dalla lamentela e dalla scontentezza per quello che è stato, che da desideri precisi di cose buone per il futuro.
Così sento di voler dar ragione a Franco Arminio quando scrive che ogni giorno dovremmo cominciarlo con piccoli esercizi di ammirazione, con piccoli esercizi di riabilitazione alla gioia. Istituire una sorta di Capodanno tra un giorno e l’altro, tra un’ora e l’altra. Dobbiamo scendere molto in fondo a noi stessi e rimanere ben saldi in superficie assieme agli altri. Senza tenere insieme questi due movimenti non c’è intensità, non c’è bellezza.
Sono parole che sento in sintonia con il racconto del Vangelo; con l’atteggiamento di Maria che, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. Con l’atteggiamento dei pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Non c’è bisogno del Capodanno per cercare motivi di meraviglia nella nostra vita, per dare spazio alla gioia nascosta nelle piccole cose, per rinnovare non solo la speranza, ma ancor prima l’impegno e la responsabilità personale nell’accadere di giorni buoni.
Maria aveva i suoi buoni motivi per gioire, ma a ben vedere aveva anche diversi motivi per lamentarsi e di cui preoccuparsi. Papa Francesco lo chiama “lo scandalo della mangiatoia”. Aveva ricevuto da un angelo un annuncio fatto di parole solenni: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre». Quel bambino nascerà, ma lo deve deporre in una mangiatoia per animali.
Raccoglie tutto nel cuore, consapevole che gli occhi a volte non bastano e a volte addirittura ingannano; consapevole che quello che vediamo è solo una parte di un mistero sempre più grande; consapevole che l’attimo presente non sempre riesce a contenere e quindi a svelare la ricchezza delle cose, delle circostanze e delle persone.
Lo stesso possiamo dire dei pastori: anche a loro un angelo aveva fatto una promessa grande:  vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Quello che trovano – con loro l’angelo era stato chiaro – è un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. A loro non riesce di tacere e il loro racconto non è deluso e non delude: se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. E tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
C’è bisogno del tempo. C’è bisogno di aspettare domani e poi ancora un giorno e ancora uno. A volte diventano mesi; a volte si arriva in fondo all’anno. Per questo dovremmo essere contenti dell’arrivo di un anno nuovo, non semplicemente per la possibilità di sbarazzarci di quello vecchio.
Per questo è bello anche festeggiare l’anno nuovo e celebrare in questa ottava il mistero del Natale per ricordare che il tempo e i giorni sono un dono. Non ne disponiamo pienamente. Non ci si può arricchire di tempo che non si lascia accumulare: è permesso solo usarlo. Siamo tutti ricchi uguali. Sta certo a noi decidere come usarlo, nella consapevolezza che quello che decidiamo di non usare andrà perso e non ci verrà restituito.
Non possiamo cadere nella trappola del disimpegno e neppure in quella dell’agitazione.
L’equilibrio è da cercare tra il sereno abbandono e il generoso impegno. Come suggerisce sant’Ignazio: “prega come se tutto dipendesse da Dio e lavora come se tutto dipendesse da te”.
Anche questo nuovo anno sarà fatto di gioie e di dolori, di incontri e di scontri, di inizi e di addii, di lutti e di nascite, di silenzi e di canti, di solitudini e di compagnia. Occorre prepararsi ad accogliere tutto, senza ingenuità e senza timori. Bisogna osare ringraziare perché quando le cose accadono, è segno che siamo vivi.
Come oggi dovremmo saper dar conto di come abbiamo usato il tempo dei giorni dell’anno che si chiude, tra un anno dovremo saper render conto dei giorni che verranno. 
È un lavoro mai finito; è il lavoro della vita; è il lavoro di una vita intera.
Per far questo dobbiamo essere pienamente presenti e non solo fare presenza alla vita. Dovremo saper benedire ogni nostro giorno con piccoli esercizi di ammirazione e non solo chiedere a Dio di benedirlo o alla fortuna di baciarlo. 

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Domenica nell’Ottava

quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini

La Sapienza grida: “Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra.” Per chi ritiene, e di conseguenza vive come se il mondo e la storia cominciasse con lui e con lui finisse, questi versetti del libro dei Proverbi sono una provocazione non da poco. Lo sono anche per chi vorrebbe vivere la propria vita senza limiti e senza vincoli. Per chi pretende di poter decidere da solo e di tutto.
A queste parole si affiancano anche quelle del prologo di Giovanni che torniamo ad ascoltare alla vigilia di questa ottava, dopo averle ascoltate nella notte di Natale: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 
Non sono meno incisive le parole di san Paolo: il Figlio del suo amore è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Sono una provocazione. Nei pochi versetti che abbiamo ascoltato è la Sapienza che parla, anzi grida perché le sue parole arrivino a tutti.
Racconta di come Dio, prima di creare ogni cosa, abbia creato proprio lei, la Sapienza: Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Racconta di come, dopo averla creata, sembra proprio lasciarsi consigliare da questa sua creatura: quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, quando condensava le nubi in altoio ero con lui.Si lasciava consigliare soprattutto quando c’era da stabilire dei limiti e tracciare dei confini: quando fissava le sorgenti dell’abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra.
Racconta e ricorda di come, proprio grazie al contributo della Sapienza, tutto prende vita, proprio perché ogni cosa ha un limite; di come ogni cosa sta di fronte all’altra ed è con essa alleata e non rivale. Io ero con lui come artefice – potremmo tradurlo anche: come architetto –  ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante.
Se il mare non avesse un limite non ci sarebbe l’asciutto. Il cielo e la terra; la luce e il buio. Ogni cosa ha il suo posto e il suo compito. Ogni elemento è fatto in relazione con gli altri perché insieme possano creare un “cosmo”, un ordine e un’armonia. Ogni creatura ha la sua dignità e il suo senso e il segreto della vita del creato è esattamente nel rispetto dei propri limiti e dei confini altrui. Nella relazione tra diversi è il segreto della vita del Creato. Il capitolo 8 si conclude con queste parole:  Beato l’uomo che mi ascolta, vegliando ogni giorno alle mie porte, per custodire attentamente la soglia. Infatti, chi trova me trova la vita, e ottiene favore dal Signore; ma chi pecca contro di me, danneggia se stesso; una bella provocazione al nostro individualismo poco lungimirante. Ma tutte queste Parole sono anche di grande consolazione per chi guarda al mondo e alla storia degli uomini e si sente smarrito e minacciato dal disordine e della brutalità. Dio, in compagnia della Sapienza, non ha mai cessato di operare. Dopo averci creato, non si stanca di ricrearci, mettendo addirittura la sua casa tra noi e in noi. Non ha mai smesso di infondere Sapienza in ogni cosa e non intende lasciar cadere il mondo nel caos e non ha intenzione di abbandonare noi e la storia degli uomini. Tutto è stato creato per mezzo di lui. In un mondo dove sembra di poter contare solo se vesti firmato e se ti compri cose di marca, potremmo riprendere il cammino verso la pace considerando che ciascuno di noi porta impressa la firma di Dio e che in questo noi abbiamo assicurata la nostra dignità e che è per questo motivo che noi possiamo chiedere ma soprattutto avere rispetto per gli altri. Anche il salmo ce lo ha ricordato: Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Tutto per mezzo di lui: non dimentichiamolo!

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Natale

eppure il mondo…

Fermatevi a guardare un presepe tradizionale. È un luogo normalmente molto affollato. Naturalmente non sarà difficile trovare il luogo scelto da Maria e Giuseppe per dare alla luce Gesù. Intorno c’è tutto un mondo di persone solitamente intente al loro lavoro. Li trovi nelle loro botteghe, nelle loro case; li trovi lungo la via. Uomini e donne intenti alla loro vita, presenti nel presepe, ma non sempre consapevoli di quello che sta accadendo. Forse nessuno ha detto loro che quel bambino nato in quella notte è il figlio di Dio. Forse glielo hanno detto, ma hanno ritenuto quella notizia infondata e poco credibile; forse avevano comunque altro da fare; forse hanno ritenuto che non avesse molto da dire alla loro vita. Quei presepi rappresentano bene quello che accade anche oggi. Molti sono presenti, ma non tutti consapevoli; molti sanno che è Natale, ma non sono tutti partecipi del mistero del Natale.
Contrariamente a quanto qualcuno vuole e spera di fare, il Natale non è una festa a cui possiamo obbligare.
Non possiamo obbligare a fare il presepe. Non possiamo obbligare a venire a messa, non possiamo obbligare a pregare, così come non si può obbligare ad essere buoni o ad essere felici. Non possiamo obbligare gli altri e non possiamo obbligare neppure noi stessi.
Io come voi sono qui per decidere, se già non lo abbiamo deciso, non cosa fare a Natale, ma cosa fare di questo Natale, chi vogliamo e possiamo essere in questo Natale; in quale Dio crediamo; come e quanto siamo disponibili ad incontrarlo.
Perché siamo qui? In che modo il mistero che qui si celebra ha a che fare con la nostra vita? Cosa possiamo chiedere e cosa possiamo segretamente sperare da tutto questo? Non possiamo sottrarci a queste domande se vogliamo celebrare questa festa.
Rispondere sembra facile, ma non lo è. Io me ne accorgo tutte le volte che mi siedo a pensare l’omelia e mi trovo costretto a dar conto innanzitutto a me stesso di cosa è per me Natale; a prendere atto che non sono preparato come vorrei; che non mi sono ancora preso il tempo giusto per ascoltare cosa il Signore vuole da me in questo Natale, ma soprattutto quale è il dono che Lui ha preparato per me in questo Natale.
Natale è per tutti, ma non è la festa di tutti. Mi accorgo che anche io posso rimanerne fuori. Non perché il buon Dio abbia deciso di venire per qualcuno e a qualcuno di negarsi; non perché abbia deciso di mostrarsi a qualcuno e di nascondersi ad altri. Natale è la festa per coloro che hanno compreso che non ci si salva da soli; che la vita ha una profondità che ancora non abbiamo finito di scoprire. È la festa di coloro che con animo di bambini aspettano ancora che la vita possa loro regalare una qualche sorpresa, un dono, una nuova speranza. È la festa di coloro che diventati grandi, seppur feriti o anche solo delusi dalla vita, scoraggiati o anche solo stanchi, colgono proprio in questa festa che c’è ancora una possibilità; comprendono che se si nasce e si muore una volta sola, molte volte ci è dato di poter rinascere.
Ed è questa la bellezza e la potenza della vita: si può rinascere.
Ce lo ricorda questa festa che cade dentro l’inizio dell’inverno, quando le giornate sono corte, l’aria è fredda, gli alberi sono spogli.
Massimo Recalcati scrive alla vigilia su un Quotidiano: Il Natale celebra la festa della nascita di Gesù, del Dio che si fa uomo, che si inabissa nella vita infranta che è la nostra vita, la vita di tutti gli esseri umani. Il messaggio cristiano non è, infatti, quello di abbandonare questa vita per raggiungere un’altra vita, una vita che non conoscerebbe né nascita né morte, una vita senza tempo, perfettamente compiuta, eterna, sottratta all’inferno di questo mondo. Piuttosto è quello di continuare a nascere in questa vita, di nascere nuovamente, di non smettere mai di nascere.
Che cos’è l’uomo perché te ne curi? Si domanda il salmo 8. Che cosa è l’uomo perché tu Dio venga a cercarlo? Chi sono io perché tu venga a cercarmi? Quale dono hai preparato per me? Sotto l’albero di Natale ci si dovrebbe aspettare di trovare dei doni, ogni anno diversi, perché aggiornati alla nostra età.
Ma dovremmo anche imparare a non attenderci solo ciò che abbiamo chiesto, per accogliere ciò che Dio ha pensato di preparare per ciascuno di noi. La grande meraviglia del Natale dovrebbe tornare ad essere questa: non esigere, ma accogliere. Lasciare spazio alla sorpresa – anche se lasciarci sorprendere e non avere il controllo non è cosa mai tanto gradita –  per non ridurre i nostri desideri a semplici bisogni da soddisfare nell’immediato, per tornare a dare importanza al futuro e non solo al presente; per liberarci dalla fretta e dall’impazienza accettando i tempi e la compagnia di Dio.
Nel mistero del Natale ad ogni uomo è offerta la consapevolezza che per incontrare Dio non occorre salire in alto, perché è venuto lui da noi; Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; La buona notizia che in Gesù, Dio non è da cercare, ma da accogliere. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
Lasciamo che la presenza di Dio accarezzi il nostro cuore, lasciamo libero il Signore di farci sentire il suo Amore, senza dare credito alla paura di rimanere delusi.  Lasciamo che questa notte ci restituisca un Natale di speranza e non solo di buoni sentimenti e di gioia a tutti i costi.  Perché questo è il Natale del Signore, di quel Dio che ancora non si è stancato e dimenticato di noi.

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Orari messe di Natale

Vigilia di Natale
Ore 21.00 Monticello Messa di Natale nella notte
Ore 00.00 Torrevilla Messa di Natale nella notte
LUNEDÌ 25 DICEMBRE  NATALE
Ore 9.00 Torrevilla                    
Ore 10.30 Monticello                
Ore 18.00 Torrevilla                    

MARTEDÌ 26 DICEMBRE santo Stefano
Ore 9.30 Torrevilla                    
Ore 10.30 Monticello

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Domenica prenataliza

tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo,
si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.

Il vangelo di oggi appare un semplice elenco anche piuttosto noioso di strani nomi, di persone che per lo più non conosciamo. Forse non sappiamo che di elenchi così ce ne sono due nei vangeli. Non sono neppure simili e questo ci potrebbe far giudicare poco attendibile la ricostruzione che Matteo e Luca fanno della genealogia di Gesù. Hanno tra l’altro andamento diverso. Matteo, come abbiamo sentito, parte da Abramo e viene in avanti, raccogliendo gli antenati di Gesù in 3 gruppi di 14 nomi ciascuno. Luca parte invece da Gesù, figlio, come si riteneva di Giuseppe, figlio di Eli e così facendo elenca settantasette antenati risalendo fino ad Adamo. In entrambi gli elenchi troviamo nomi e storie conosciute a cui la Bibbia dedica attenzione, altri sono nomi di cui non sappiamo nulla. In entrambi gli elenchi troviamo persone eccezionali che hanno fatto la storia del popolo di Israele e altri che sono ricordati più per le loro mancanze e i loro errori.
Al di là delle diversità, mi pare di poter dire che l’intenzione di entrambi gli evangelisti è quella di evidenziare la storicità di quanto andiamo domani a celebrare nel Natale.
Ma ancora di più mi piace pensare che questo elenco racconti meglio di tanti altri discorsi la volontà di Dio di stare dentro la storia, cercando la compagnia di tutti quegli uomini e donne che si rendono disponibili alla sua azione di grazia.
Proprio così: Dio non ama far tutto da solo, ma si rallegra di poter fare tesoro di ogni persona disponibile, sia essa inesperta, sia essa sconosciuta agli uomini, sia essa ai loro occhi perfino inadeguata.
Per fare un esempio concreto legato alla storia di uno dei nomi che abbiamo ascoltato, quando Dio incarica Samuele di ungere Davide nuovo re di Israele al posto di Saul, così gli raccomanderà: «Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore».
Perché Dio fa la storia con i disponibili. 
Dio continua a fare la storia con chi gli dice sì e mette in quella disponibilità tutto quello che è. Non con rassegnazione, non per semplice senso del dovere o peggio per costrizione, come accade con coloro che temiamo.
Dio fa la storia con coloro che si rendono disponibili, ovvero mettono se stessi a sua disposizione consapevoli del privilegio che Dio stesso ci concede di poter far parte della sua storia, di essere parte della sua famiglia; di poter anche noi entrare a far parte di quell’elenco, non come chi salta sul carro del vincitore, ma come figli di Dio a loro volta.
Essere disponibili: questo è il nostro modo di essere parte ogni anno al mistero del Natale. Certo non è molto di moda questo atteggiamento, che non è neppure sempre giudicato sapiente. Di coloro che sono sempre o troppo disponibili, gli altri si approfittano. Gli altri a volte cominciano a pretendere o a dare tutto per scontato. Siamo diventati tutti un po’ sovranisti: prima io e poi gli altri. Ma se vogliamo vivere davvero il Natale, questo muro, almeno nei confronti del Signore, lo dobbiamo abbattere. Questa diffidenza nei suoi confronti la dobbiamo mettere da parte.
Il Natale è la festa di coloro che metteranno a disposizione di Dio anche solo una piccola parte del proprio tempo, del proprio cuore, dei propri pensieri.

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SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

Orari disponibili per il sacramento della riconciliazione

Lunedì 18 dicembre
chiesa di Monticello – dalle ore 9.30 alle ore 10.30
Martedì 19 dicembre
chiesa di Torrevilla – dalle ore 9.30 alle ore 10.30
Mercoledì 20 dicembre
nella chiesa di Monticello – dalle ore 9.00 alle ore 10.00
dalle ore 17.45 alle ore 18.45 – dalle ore 21.00 alle ore 22.00
Giovedì 21 dicembre
chiesa di Torrevilla – dalle ore 9.30 alle ore 11.00
chiesa di Monticello dalle ore 17.00 alle ore 18.00
per adolescenti e giovani
dalle ore 18.00 alle ore 19.00
Venerdì 22 dicembre
chiesa di Torrevilla – dalle ore 9.30 alle ore 11.00
Sabato 23 dicembre –
chiesa di Monticello – dalle ore 10.00 alle ore 12.00
dalle ore 15.00 alle ore 17.0

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Quinta domenica di Avvento

Tu, chi sei?

Appello. Chiamata. Teniamo questa parola come chiave di comprensione della Parola che ci è rivolta in questa quinta domenica di Avvento. Appello significa chiamata. Lo si fa a scuola, per verificare chi è presente e chi è assente.
La presenza e la prontezza: si fa l’appello per verificare chi c’è e chi è pronto!
La disponibilità e la sensibilità: si fa appello quando si cerca un aiuto e un coinvolgimento di altri.
È un appello quello che Giovanni il Battista rivolge a ciascuno di noi, ancora oggi, grazie all’evangelista che ha fissato come parole di Vangelo, parola buona, la sua testimonianza. Forse, anche oggi, per molti le sue parole arriveranno come in un deserto, dove non c’è nessuno ad ascoltarle e a raccoglierle. «Io sono voce di uno che grida nel deserto».
Quei sacerdoti e leviti mandati ad interrogarlo, come quei Giudei che li avevano mandati, non sembrano interessati ad ascoltare, ma solo a screditare Giovanni: «Tu, chi sei? Che cosa dici di te stesso?»
Giovanni fa di tutto per non far ombra al messaggio che ha il compito di annunciare: io non sono il Cristo, ma uno che ha il compito di ricordarvi di rendere diritta la via del Signore. Ma l’attacco si fa ancora più personale: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Ancora più forte diventa il tentativo di screditarlo: ma chi ti credi di essere!? Cosa vuoi insegnare a noi?
È facile quando ci si può nascondere nel gruppo. Ancora di più quando puoi mandare avanti gli altri. I Giudei non ci vanno di persona e mandano i sacerdoti e i leviti che vanno in gruppo, si fanno forti gli uni con gli altri. Non sono tenuti a presentarsi, non sono tenuti a dar conto di sé e neppure di chi li manda; non sono tenuti a giustificazioni e spiegazioni. Si sentono in diritto di interrogare: Tu, chi sei?
Nessuno di noi si è scelto il nome con cui essere chiamato. Lo hanno scelto i nostri genitori e da quel giorno quel nome è ciò che ci permette di non essere anonimi. Se non abbiamo scelto il nome, a noi tocca scegliere cosa fare di quel nome!
Avere un nome è un vantaggio per chi attende una chiamata desideroso di rispondere all’appello, affermare la propria presenza, accettare di essere interrogato, di affermare a se stesso e agli altri di essere pronto, di mostrare chi è, cosa sa o anche semplicemente di dare il proprio contributo e di fare la propria parte; uno svantaggio per chi preferisce rimanere nell’ombra, per chi non osa o non sa; uno svantaggio per chi non vuole responsabilità e non ama gli impegni.
Accade così anche per la nostra fede. Andare controcorrente non è facile. Dichiararsi oggi cristiani non è più cosa scontata; più facile passare per stupidi, che suscitare ammirazione. È scelta. È risposta non solo alla chiamata di Dio, ma anche alla chiamata alla vita. Non si può rispondere rimanendo nella folla, rinunciando al proprio nome e al diritto di parola, alla possibilità di dire e dissentire. Rispondere è affermare chi si desidera essere; dichiarare quali sono i valori che ci muovono e ci orientano.
Rispondere è anche dire chi non si vuole essere; a quali logiche non ci si vuole sottomettere ed adeguare; è sottrarsi alla logica del “così fan tutti, allora lo faccio anche io”.  È rinunciare all’esercizio sterile della protesta per passare non solo alla proposta, ma ancora di più all’azione.
Rispondere infine è riconoscere che non ascoltiamo e rispondiamo solo a noi stessi; rispondiamo di noi stessi perché c’è una voce a cui prestare ascolto. È riconoscere che il mondo e la storia degli uomini non sono trascinati dal caso verso la fine; non sono destinati ad essere travolti dal disordine e dal male senza che nessuno possa far nulla. Ciascuno di noi è chiamato a rispondere alla chiamata di Dio, a collaborare alla costruzione del suo Regno, confidando nella promessa di pace:  Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà.
Anche in questo Natale il Signore ci chiama. Sottrarsi agli eccessi e alle esagerazioni; sottrarsi alle tensioni e ai contrasti; affermare che il Natale è semplicemente la meravigliosa presenza del Dio della pace non è fare i guastafeste. Certo arriveranno a dirci che siamo presuntuosi, fuori tempo, ingenui. Ci diranno che non sappiamo stare al mondo, che non sappiamo divertirci e che siamo solo invidiosi.
Perché non provare, in prima persona, a rispondere all’appello di Giovanni Battista: Rendete diritta la via del Signore.

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Quarta domenica di Avvento

L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa così:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro.

Chandra Livia Candiani

Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene».
Sono parole che conosciamo. Sono le parole della folla che accoglie Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme. Sono parole che hanno il sapore della gioia e della festa. Sono parole di coloro che accolgono rivolte a colui che è accolto. Sono parole di Vangelo che siamo abituati a sentire a proclamare la Domenica delle Palme, ma sono anche parole che ci aiutano a comprendere meglio il mistero del Natale, non come il semplice ricordo di un fatto storico accaduto in quel tempo, ma l’accoglienza nuova di un fatto che avviene ora: l’incarnazione di un Dio che nasce in me e che anche da me chiede accoglienza.
In questi giorni in cui ho cominciato la visita alle famiglie casa per casa, ho percepito la gioia che la mia visita ha dato a qualcuno. Solitamente quella gioia si prolunga in una conversazione cordiale, a volte in piedi, a volte seduti.
Ma è anche vero, senza giudicare nessuno, che qualcuno non apre.
Una volta che mi sono presentato più o meno con queste parole: “buon giorno sono don Marco, sto passando per la visita alle famiglie, se ha piacere”, una persona mi ha risposto, dicendo: “no, grazie”. 
Qualcuno mi dice: “sto uscendo”. “Siamo già a tavola”. “ Don Marco chi?”
Uno mi ha detto: “non ho nessun tempo e nessuna voglia”. 
Qualcuno mi dice: “ci sono solo io” e decide di non farmi entrare, non so se per timore o per imbarazzo.
Qualcuno, dietro finestre comunque illuminate, non risponde.
Accade che, quando sono accolto, cerco, con la mia presenza, di parlar bene di Dio e poi, dopo aver pregato insieme, di benedire, degli altri; quando non sono accolto cerco, provo a parlar bene a Dio di chi non mi fa entrare. Questo nessuno me lo può impedire. Solo l’irritazione e il mio orgoglio mi possono ostacolare in questo parlar bene anche di chi non mi accoglie. Solo il fastidio presuntuoso mi può impedire di accogliere nel mio cuore almeno quelle voci e insieme le loro storie. 
Ho diritto a pensarne male per il solo motivo di non essere stato accolto? Direi proprio di no. Ho piuttosto il dovere di farli entrare nel mio e di accoglierli in me.
La visita è un’offerta, l’accoglienza rimane un gesto di libertà.
Non è forse questo il mistero stesso del Natale?
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto.
Chi mi accoglie e mi apre mi ricorda che l’accoglienza è un’arte. C’è chi prepara la casa pulita, chi prepara la moka sul fornello, c’è chi prepara i cioccolatini, chi mette la tovaglia bella; c’è chi attende con pazienza e rinuncia ad andare da qualche altra parte; chi torna prima o chi esce più tardi.
Chi non mi accoglie mi ricorda che l’accoglienza è un rischio, è un disturbo: ai nostri comodi, alle nostre stanchezze, alle nostre delusioni passate a cui abbiamo finito per dare peso e farle diventare certezze; è un disturbo ai nostri schemi e alle nostre sicurezze; è un inciampo ai nostri pregiudizi.
Accogliere significa mettere da parte i nostri calcoli per camminare insieme su un terreno a volte sconosciuto e incerto. Chi non mi accoglie mi ricorda che l’accoglienza non è cosa scontata; che anche io in questo Natale potrò sentirmi disturbato dal Dio che viene; che potrei non farmi trovare pronto a dire: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene»
Mi ricorda che anche io potrei non voler essere scomodato e infastidito dal Dio che viene: l’orario della messa non è quello giusto, le cose da fare sono tante, le persone a cui dare retta pure. Accade così che a Natale si finisce a far di tutto, ma non si riesce a pregare: proprio in quel giorno! Quando facciamo entrare un ospite in casa solitamente si usa, o forse si usava dire: “prego, accomodati”.
È una buona espressione di cortesia che si rivolge all’ospite che arriva nella nostra casa e che possiamo anche immaginare di rivolgere a quel bambino Gesù che stiamo aspettando in questo Natale.Solitamente quelle parole sono accompagnate dal gesto della mano che mostra la direzione all’ospite arrivato: prego, accomodati in casa nostra, sii nostro ospite in questo giorno e rallegraci con la tua presenza.
Vorrei suggerire un altro modo di intendere e pronunciare quelle parole: pronunciare quel “prego” consapevoli che è la prima persona singolare indicativo del verbo pregare:  io prego. Allora le mani si muovono in un altro modo, si congiungono a cercare il raccoglimento e la concentrazione. Io prego, tu accomodati, Signore! Credo sia questo il modo migliore di pronunciarla in vista di questo Natale.
Accogliere: non c’è Natale senza qualcuno che accoglie.


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Terza domenica di Avvento

Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore

Terza domenica di Avvento. Terza pallina. Terza parola: ascolta! Un imperativo, un invito. Ad aprire le orecchie e ancora prima il cuore. A fidarsi. 
Ascoltare è uno dei due verbi che il dono della parola ci regala. L’altro è parlare.
Se ci pensate, è il primo che entra in funzione. Da piccoli abbiamo ascoltato per parecchi mesi prima di sapere e potere pronunciare la prima parola. Non ci è uscita forse neppure troppo bene, ma poi ne abbiamo imparate anche altre e abbiamo imparato a dirle bene e abbiamo poi imparato a metterle insieme, scoprendo la bellezza di avere non solo una voce, ma di avere voce in mezzo agli altri; la bellezza di poter dire i nostri bisogni, di poter essere compresi, di poter non solo essere accanto, ma di essere insieme, la bellezza del dialogo. È qualcosa che è accaduto a ciascuno di noi, come esseri umani, ma è qualcosa che è accaduto anche all’umanità intera, che ha trovato la possibilità di percorrere la strada dell’evoluzione proprio grazie al potere delle parole dette e ascoltate.
È affascinante questa cosa: l’homo sapiens ha soppiantato l’uomo di Neanderthal, che pure pare fosse più grosso, perché intorno a quel piccolo ossicino che si è ritrovato in gola, l’osso ioide, si è formato quel meraviglioso apparato di muscoli, cartilagini e corde vocali con cui ha imparato a parlare. Poi arriva il salto decisivo, quando, alla parola che permetteva la comunicazione diretta nel presente, si è affiancato l‘alfabeto, che ha permesso di tramandare le parole, le storie, le informazioni, le conoscenze nel futuro.
Il salto decisivo per l’umanità. 
L’autore del libro della Genesi è così consapevole della forza delle parole, che scrive che Dio ha creato il mondo parlando: Il mondo era vuoto e deserto, le tenebre coprivano gli abissi e un vento impetuoso soffiava su tutte le acque. Dio disse: ‘Vi sia la luce!’. E apparve la luce.
L’evangelista Giovanni, come ascolteremo nella notte di Natale, comincia così il suo vangelo: in principio era il Verbo. All’inizio di tutto c’è la Parola. 
Tornando a noi: da piccoli abbiamo preso così gusto nel parlare, che poi abbiamo un po’ perso l’abitudine di ascoltare. Abbiamo perso la consapevolezza che, per avere parole da dire, occorre continuamente farle entrare: ascoltando, leggendo. Capita così di incontrare più facilmente persone che hanno voglia di parlare piuttosto che di ascoltare. Quando uno sta in silenzio, la cosa appare così strana e fuori luogo, che capita che si senta domandare: “va tutto bene? Stai bene?” . Quando si è in mezzo agli altri e si dialoga, l’impressione è che ciascuno, più che ascoltare, stia aspettando il proprio turno di parlare.
L’accesa discussione nata tra Gesù e i Giudei dopo la guarigione dell’uomo malato da 38 anni, sembra un dialogo tra sordi.
Le parole di Gesù cadono nel vuoto, si scontrano contro la presunzione di quegli uomini, rimbalzano addosso alla loro testardaggine. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi. Non credete!
Non credete a quello che vi dice il Padre che mi ha mandato e ha dato testimonianza di me.
Non credete a Giovanni Battista: e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Non credete a quello che vi dico: io ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni.
Non credete neppure a quello che vedete: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
Non ascoltano e neppure vedono.
Ascoltare è osservare. Ascoltare è comprendere; è non giudicare; è rinunciare al nostro bisogno di esprimerci; è dedicare tempo e attenzione; è rispettare. Ascoltiamo troppo poco. Non chiediamo. Non diamo tempo.
Proviamo a farlo in questi giorni e nel resto di questo avvento.
Ascoltiamo noi stessi. Non è egoismo fermarsi ad ascoltarsi. Anche a noi stessi dobbiamo dare ascolto: alle nostre fatiche, prima che si facciano insostenibili; ai nostri sentimenti, prima che diventino confusi; alle nostre tensioni, prima che esplodano; alle nostre tristezze, prima che diventino afflizioni.
Ascoltiamo gli altri. Accogliamo quello che ci viene detto e anche quello che non ci viene detto.  Ascoltiamo per capire cosa vogliono da noi, di cosa hanno bisogno, come possiamo aiutarli, come possiamo sostenerli. Diamo importanza alle relazioni.
Ascoltiamo anche Dio. Così dice il Signore Dio: «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore. Solitamente non pretende tanto, ma le sue parole sono sempre preziose. Mettono ordine, mettono pace. Sono in grado di ridare tranquillità al cuore, di sciogliere nervosismi, di ridare il giusto peso alle nostre preoccupazioni, di consigliare nelle scelte. Ascoltatemi attenti, o mio popolo; o mia nazione, porgetemi l’orecchio.

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