Ultima dopo l’Epifania

Abbi pietà di me.

La parabola che ci è donata in questa ultima domenica dopo l’Epifania, prima che si apra il tempo di Quaresima, oso definirla divisiva. Letteralmente; divide, crea divisioni e contrapposizioni: chi sta da una parte e chi sta dall’altra. Fin dall’inizio.
Il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. 
E subito qualcuno potrebbe riconoscersi in questa definizione: riconoscere di essere uno che fatica ad ammettere i propri errori, che ritiene di essere tutto sommato una brava persona, soprattutto se paragonata con gli altri; qualcuno potrebbe anche riconoscere la propria propensione alla facile critica, di non essere uno che le manda a dire, che facilmente fa confronti e che magari qualche volta arriva anche a sentimenti di disprezzo.
Qualcun altro potrebbe invece non riconoscersi in questa descrizione e ritenere che questa parabola non sia rivolta a lui. Potrebbe anzi ritenere di essere troppo spesso lui la persona sempre giudicata, umiliata e presa di mira.
È divisiva la situazione descritta poi dalla parabola stessa: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Uno stava in piedi, fiero, pieno di parole e a suo dire anche di buone azioni da esibire. Ritiene di aver maturato meriti sufficienti per parlare con Dio faccia a faccia, anche se di lui si dice che pregava tra sé e sé piuttosto che guardare Dio, guarda con disprezzo al pubblicano, conveniente metro di misura per accreditare se stesso davanti a Dio; un monumento rappresentante il bravo cittadino e buon credente a cui Dio può solo rivolgere uno sguardo compiaciuto e a cui il mondo deve ammirazione e gratitudine.
L’altro, rimasto a distanza, possiamo immaginare forse anche sul fondo del tempio, accanto alle porte di ingresso, povero di parole e di risultati, carico di sconfitte e amarezza: non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, figurarsi innalzare preghiere! La persona giusta a cui dar contro e contro cui protestare, professionista dell’inganno e della truffa; termine di paragone utile a chi vuol sentirsi migliore.
Due modi diversi non solo di pregare, ma di vivere.
Divisivo il giudizio che ciascuno di noi può dare sulle loro vite.
Qualcuno potrebbe ben dire: ce ne fossero di persone come questo fariseo. Il mondo andrebbe meglio e non avremmo paura ad andare in giro per poi attaccare con la seconda strofa: i peccatori, quelli che sbagliano vanno condannati e puniti. 
Il ritornello lo prendiamo direttamente dal fariseo: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.
Qualcuno potrebbe invece sentir fastidio dalla superbia del primo, da quella sua supponenza che solitamente genera antipatia, e commosso dall’umiltà del secondo, dalla sua semplicità che solitamente genera tenerezza e confidenza.
Io credo che per evitare ogni contrapposizione e impoverente divisione, l’unica parte da cui mettersi è quella di Dio. Chiedere alla parabola di farci vedere come Dio guarda a questi uomini e domandarci come vogliamo essere visti da Dio.
E se ci mettiamo dalla parte di Dio ci accorgiamo subito della differenza tra la preghiera del primo, fatta di parole, e la preghiera del secondo, fatta di gesti: fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto.
Mi piace pensare che quel battersi il petto sia come un bussare alla porta del cuore, nel desiderio di rientrarci e trovarvi Dio. Si dice così del figlio prodigo: rientrò in se stesso.
Battersi il petto per chiedere a Dio di riaprirlo, di farci entrare, di rimetterci in contatto con la porzione più vera di noi stessi; per riguadagnare fiducia e stima non attraverso i nostri meriti, ma attraverso l’amore di Dio. 
Per presentarsi, dopo aver bussato a quella porta, si presenta con questo nome: sono un peccatore, ti chiedo di aprirmi. Sono quello che fino ad ora ha spesso sbagliato, ha mancato il bersaglio, ha imboccato strade chiuse che non portano a nulla.
Abbi pietà di me.
Che vita sarebbe se dovessimo conquistarci ogni cosa, ogni briciolo di pace, di speranza o di felicità con i nostri meriti o con i nostri sforzi? Le gioie più grandi sono sempre quelle che ci arrivano dagli altri.  Dall’amore che riceviamo e diamo. Abbi pietà di me: è la semplice preghiera di chi sa di dipendere continuamente dall’eterna misericordia di Dio e sa che Dio gode di questa misericordia e si compiace di chi si lascia amare più ancora di chi si vanta di amarlo.

Questa voce è stata pubblicata in Riflessioni, Vangelo della domenica. Contrassegna il permalink.