Penultima domenica dopo l’Epifania

È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono
e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé.

Questo è il tempo della misericordia. Ogni giorno del nostro cammino è segnato dalla presenza di Dio che guida i nostri passi con la forza della grazia che lo Spirito infonde nel cuore per plasmarlo e renderlo capace di amare. 
È il tempo della misericordia per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. 
È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. 
Così scrive papa Francesco nella lettera apostolica Misericordia et misera a conclusione del Giubileo della misericordia iniziato l’8 dicembre 2015 e concluso il 20 novembre 2016. 
Dovrebbe essere il tempo della misericordia, ma si stenta a trovarla.
Forse ha ragione Guia Soncini quando scrive che questo è piuttosto il tempo della suscettibilità, che è l’atteggiamento di chi facilmente si offende, si risente, di chi è eccessivamente propenso a ritenere le parole o i gesti altrui come negativo nei suoi confronti.
Detto in altri modi, l’atteggiamento di chi perdona poco e se la prende per tutto; detto con un’altra sola parola: l’atteggiamento di chi è permaloso. A volte basta una battuta scherzosa per andare su tutte le furie. Da piccoli si metteva il broncio, si battevano i piedi per terra e si cominciava a piangere, ma non sempre le cose migliorano diventando grandi, anzi. Si impara a reagire, a contrattaccare, a restituire. Possiamo certo intuire che questo genere di atteggiamento non ha molto da spartire con la misericordia e con la clemenza su cui oggi la liturgia ci invita a meditare.
Suscettibile è Simone, il fariseo, che alla sola vista di quella donna entrata in casa sua ne ha a male e si innervosisce anche contro Gesù: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
Simone è sicuro del suo giudizio su quella donna: è una peccatrice. È altrettanto sicuro che il suo giudizio non possa che essere conosciuto e condiviso da tutti: è una peccatrice.Il permaloso, del resto, solitamente agisce così: all’insicurezza che gli rende difficile accettare critiche, contrappone la sicurezza, la convinzione e la durezza dei suoi giudizi. Evidentemente il presupposto da cui parte è che lui, in quella situazione, sia il giusto. Simone, persona perbene, si sente offeso dalla sola presenza di quella donna e ritiene che quel sentirsi offeso sia già da solo un buon motivo per offendere e anche umiliare. Non teme repliche o smentite; ha ragione lui. Non c’è da discutere. Le cose stanno proprio come dice lui.
Del resto, diciamolo: è un ruolo facile da interpretare. A chi non è mai capitato di trovarsi nei panni di chi credere di sapere, di conoscere e quindi di poter giudicare; nei panni di chi la sa lunga: “Ah se sapessi… la sai l’ultima… sai cosa è successo…”; nei panni di uno dei tanti Simone dei giorni d’oggi, sicuri di conoscere bene le persone; sicuri di sapere tutto della vita degli altri al punto tale da poterla giudicare e a volte perfino condannare; di conoscere a volte anche più dei diretti interessati le cose; nei panni di chi, quando si sente dire che sta esagerando e forse anche sbagliando, si difende, offeso, dicendo: stavo scherzando, non si è capito?
Certo suscettibile non è Gesù e del resto neppure la donna.
Lei non teme il possibile giudizio degli altri che avrà già ascoltato e che già conosce.
Ben diverso è anche Gesù che a Simone dice: ho da dirti qualcosa.
Parliamone. Prima di puntare il dito, scambiamoci qualche pensiero.
Prima di giudicare gli altri, guardiamo a noi stessi. Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo. 
I tempi non sono cambiati. Ora è perfino più facile emettere giudizi e sentenze. Prendersi il diritto di dire una parola su tutto, ma sottrarsi alla responsabilità degli effetti delle nostre parole.
Le parole sono tutte leggere quando non sei il bersaglio.
Una cosa è certa: se te la prendi per un niente, farai sempre molta fatica a perdonare e ad essere clemente e benevolo.
Per perdonare occorre lasciar andare, non prendersela, non metterla sempre sul personale.
È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé.
Sono la clemenza e il perdono che possono aggiustare questo mondo, non la suscettibilità o il giudizio. In questa era della suscettibilità le parole sono diventate rozze, arroganti, prepotenti e non è di questo che abbiamo bisogno per aggiustare questo mondo, per aggiustare i rapporti, per cercare la verità, per praticare l’amore.
Abbiamo bisogno di clemenza che spegne il desiderio di sopraffare, di vincere e aver ragione ad ogni costo.
Nel “mercante di Venezia” Shakespeare scrive e fa dire ad uno dei personaggi: 
“La clemenza ha natura non forzata
cade dal cielo come pioggia gentile
sulla terra sottostante; è due volte benedetta,
benedice chi la offre e chi la riceve;
(…) sta al di sopra del potere dello scettro,
ha il suo trono nel cuore dei re,
è un attributo di Dio stesso;
e il potere terreno si mostra più simile al divino
quando la clemenza mitiga la giustizia.”
D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; 
piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello.

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