3 domenica dopo l’Epifania

il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno

Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Così aveva detto Gesù nel discorso della Montagna.
Il Padre sa.
Egli sa di cosa ha bisogno il popolo che sta camminando nel deserto verso la terra promessa e provvede nella sua grandiosa maniera: io sto per far piovere pane dal cielo per voi.
Egli sa di cosa ha bisogno la folla che lo aveva seguito per ascoltarlo fin nei dintorni della città di Betsaida.
Sembrano saperlo anche i discepoli, ma sanno anche, e si rendono conto bene, che quel che hanno non basta per quel bisogno così grande. «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo.
La risposta di Gesù è provocatoria, quasi una sfida, una missione impossibile: voi stessi date loro da mangiare.I discepoli se ne rendono conto e ribattono, non si capisce se dando del matto a Gesù o dichiarando la resa: qui siamo in una zona deserta. Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente.
Il Signore sa di cosa l’uomo ha bisogno e sa come provvedere, a differenza dell’uomo, che oltre a non sapere sempre bene di cosa ha bisogno, non sempre sa provvedere. Accade così che facilmente quando è nel bisogno, invece che invocare, si lamenta.
Le pagine del libro dell’Esodo sono meravigliose. Raccontano di una storia che sembra lontana nel tempo, ma che rimane di una attualità strepitosa. 
Al popolo di Israele vengono continuamente date concrete prove di cosa il Signore è capace nei suoi confronti; accompagnandolo fuori dalla schiavitù di Egitto per condurlo nella terra promessa, rimuove ogni ostacolo, colma ogni bisogno. Il salmo così lo ricorda: Distese una nube per proteggerli e un fuoco per illuminarli di notte. Alla loro richiesta fece venire le quaglie e li saziò con il pane del cielo. Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque: scorrevano come fiumi nel deserto.
Ogni difficoltà diventa occasione per Dio di andare in soccorso, ma diventa per il popolo occasione di lamentela, suscita mormorazione e non invocazione: i nostri occhi non vedono altro che questa manna.
Israele esprime addirittura un rimpianto: fossimo morti per mano del Signore in terra d’Egitto; là eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà. La condizione di schiavitù, della quale un tempo s’erano tutti lamentati, ora appare invidiabile. C’era da mangiare, mentre qui, nel deserto, non rimane altro da fare che attendere la morte.
La risposta di Dio l’abbiamo ascoltata: il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. Ne mangerete non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga a nausea.
Il verbo mormorare descrive bene quello che accade. Non sono parole chiare quelle che si dicono quando si mormora. Non sono parole che si dicono a voce alta e forte. Sono parole brontolate; il verbo mormorare sembra voler anche riprodurre il suono che fanno quelle parole. Non si ha neppure ben chiaro cosa dire per esprimere il disagio che abita il cuore. Il mormorare spesso ha inoltre il sapore della maldicenza, piuttosto che della verità. Ma se il Signore non riesce a sentirlo, sa leggerlo lo stesso direttamente nel cuore. Ascolta e provvede, quasi sempre con abbondanza rispetto al bisogno.
Ma Gesù stesso dirà un giorno: anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede.
La stessa abbondanza la ritroviamo nel segno della moltiplicazione dei pani: tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene.
Tuttavia la folla non capisce il messaggio; quell’abbondanza, come ogni abbondanza, stordisce. Neppure noi abbiamo ancora capito e ancora la inseguiamo, mai soddisfatti, dimenticandoci che Dio, più di noi, sa di cosa abbiamo davvero bisogno. 
Noi abbiamo trasformato la parola benessere in qualcosa che ha che fare con la ricchezza, con l’agiatezza materiale, dimenticandoci che significa anche semplicemente lo star bene, indipendentemente da quello che si possiede.
Dovremmo imparare a sostituire la parola abbondanza con la parola abbastanza. Ci accorgeremmo che anche cinque pani e due pesci possono bastare; che il segreto non è moltiplicare, ma condividere; non prendere, ma dare.
Chiediamo che il Signore, prima ancora che soddisfare le nostre richieste, ci insegni cosa chiedere; ci insegnaci la gratitudine che ci libera dalla lamentela; ci insegni la lode che ci libera dall’imprecazione; ci insegni la meraviglia che ci libera dall’indifferenza.

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