II domenica dopo l’Epifania

la gioia è una cosa seria nella vita!

Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto».  
La determinazione con cui Gesù dà ai servi questo comando ci fa ben intendere che il miracolo è già avvenuto: l’acqua di cui probabilmente si disponeva in abbondanza è diventato vino che nel frattempo a quella festa era venuto a mancare.
Ed essi gliene portarono. Tanto di cappello a questi servi che senza garanzia alcuna eseguono quell’ordine portando al maestro di tavola i contenitori in cui loro avevano versato acqua. Quello che Maria già intuisce e che Gesù da subito sa, a questo punto diventa noto anche al lettore e ai servi: l’acqua è diventata vino.
Curioso e interessante è il seguito del racconto: come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 
Mi colpiscono e mi fanno pensare le sue parole.
La prima cosa che raccolgo è che nelle sue parole trovo conferma del fatto che non è detto e scontato che si possa sempre migliorare. Si parte bene, con le migliori intenzioni, ma il seguito non è scontato. A volte le cose peggiorano.  Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. “Così fan tutti” sembra dire il maestro di tavola.
Visto che il vangelo parla di una festa di nozze, diciamo subito che accade così nei matrimoni: all’inizio, quando c’è da conquistare l’altro o farsi conquistare, si mette in gioco tutto di se stessi e soprattutto la parte migliore; poi a volte ci si siede e si comincia a pensare che basti anche meno del meglio.
Accade anche ad un prete: parte con entusiasmo, con fiducia, ma non è detto che l’entusiasmo cresca.
Accade così quando cerchi un lavoro e devi convincere il titolare ad assumerti, devi indicare nel tuo curriculum tutte le esperienze fatte, le abilità acquisite, i titoli di studio conseguiti. Poi quando il contratto è indeterminato, cominci a capire che anche lì non è necessario dare proprio tutto e il meglio.
Accade così nella vita: il meglio, il vino buono, si ritiene sia negli anni della giovinezza e che poi con l’avanzare degli anni e l’arrivo dei primi acciacchi, tutto sia destinato a spegnersi; il fascino di nuove esperienze si riduce perché di esperienze ne hai già fatte tante, perché qualche ferita o graffio ti è rimasto addosso, l’amaro di qualche delusione o sconfitta non se ne va. E in qualche modo ti accorgi che qualcosa si spegne dentro o peggio tenti di tornare giovane.
La seconda cosa che mi colpisce è questo non sapere da dove arriva questo vino.
Penso a quante volte ciascuno di noi è stato sorpreso dalla gioia senza sapere bene da dove arrivi. Penso a quelle situazioni di grazia dove improvvisamente e in maniera inattesa e misteriosa irrompe qualcosa di nuovo a risollevare la situazione; qualcosa che non abbiamo messo nel conto, qualcosa che non abbiamo programmato e previsto; qualcosa su cui non abbiamo nessun merito e controllo; qualcosa che nemmeno sappiamo da dove arriva: non sapeva da dove venisse.
Il vino ad una festa di nozze è cosa seria e indispensabile; la gioia nella vita è cosa seria e indispensabile. Ci accorgiamo che è diversa e molto più profonda dell’allegria spensierata e spassosa di cui a volte ci accontentiamo. 
Non sappiamo sempre dire di preciso cosa sia, come non sempre sappiamo dire da dove arriva, ma ne comprendiamo tutto il suo valore.
Arriva a dirci che quel destino di declino incontrastabile può essere invertito: Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora.
«Qualsiasi cosa vi dica, fatela». La gioia arriva dalla decisione di Dio di avere a che fare con gli uomini, dal suo decidere di non abbandonarli ad un destino di declino. Arriva dalla fiducia riposta in quel Gesù che nell’ultima cena dirà parole simili a quelle di Maria: Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. 
È così che arriva quella gioia; ti prende e ti solleva sopra ogni fatica. Non importa se non vedi da dove arriva, non importa la sua durata: a volte è come un lampo improvviso, a volte è l’esito di un lento costruirsi di piccoli eventi, parole regalate o ricevute, delicate attenzioni. Non è replicabile, neppure catturabile se non dal cuore che la custodisce, ne custodisce il dolce ricordo e lo trasforma in attesa del suo prossimo passaggio.
Maria, nel suo custodire e meditare tutto nel cuore, aveva intuito. Lo hanno imparato i servitori da dove arriva quel vino e come la festa possa riprendere vita.
“Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.
“Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”.
“Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.

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