Giovedì santo

Sono forse io?

«Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».
Così Gesù aveva risposto a Maria nelle sale del banchetto organizzato a Cana per uno sposalizio. Nonostante non fosse ancora giunta l’ora, Maria aveva regalato il consiglio prezioso ad ogni discepolo: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Quell’ora è arrivata. Nel cenacolo, adesso è Gesù, dopo essersi chinato sui discepoli per lavare loro i piedi, a dire qualcosa di simile: Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 
In quest’ora l’obbedienza non è dovuta alle parole, non è data ad un comando. L’obbedienza è consegnata ai gesti stessi di Gesù, l’obbedienza è a quello che ha fatto e farà e non solo a quello che ha detto.
L’obbedienza da quell’ora di quel giorno in poi non è data ad un comandamento, ma al primo e unico dei comandamenti, quello a cui anche Gesù obbedisce: il comandamento dell’amore.
Da quell’ora di quel giorno l’obbedienza è e sarà verso all’amore.
Ogni ora sarà vera solo se vissuta nell’amore.
Ogni gesto sarà buono, ogni parola sarà giusta, così come ogni silenzio solo se obbediscono all’amore.
Colpisce nel racconto della passione il fatto che più volte Gesù si rivolgerà al suo interlocutore dicendo: tu l’hai detto.
A Giuda che domanda: sono forse io il traditore? Tu l’hai detto.
Al sommo sacerdote che gli dice: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio”. Tu l’hai detto.
A Pilato che gli domanda: dunque tu sei re?Tu lo dici.
Sta a te decidere, Giuda, se vuoi essere il traditore.
Sta a te, sommo sacerdote, decidere se Gesù è il Messia.
Sta a te, Pilato, decidere se Gesù è innocente.
In quest’ora, Gesù chiede conto delle parole e delle promesse mentre si prepara a mantenere la parola e la promessa che ha fatto nel cenacolo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. 
Chiede conto dei propositi ai quali a volte noi stessi obbediamo.
In quest’ora Gesù dice a ciascuno di noi: sta a te decidere.
Sta a te decidere se quello che dici è parola seria o parola vuota.
Se la tua fede è qualcosa su cui sei pronto a scommettere o è solo abitudine.
Se il bene che dici di volere è qualcosa per cui sei disposto a spenderti oppure è semplicemente un modo di dire.
Davanti ad un mondo che incolpa sempre gli altri, che fugge le proprie responsabilità, Gesù ci tratta da adulti, ci obbliga a stare davanti alle nostre scelte senza scappare. 
Non è colpa sempre degli altri se nella mia vita alcune cose vanno male; se qualcuno ce l’ha con me; neppure è sempre colpa degli altri se talvolta sono infelice.
In quest’ora non c’è spazio per domande come quelle di Guida, che dopo aver già concordato il prezzo del tradimento, chiede a Gesù: sono forse io?
Come hai detto quelle parole? Con l’aria ingenua di chi davvero crede di non essere lui? 
Con la voce preoccupata di chi tema di essere stato scoperto?
Con quel fare un po’ scandalizzato o offeso di chi lascia intendere: come ti permetti a pensare male di me? Adesso sarei io il cattivo?
Con l’aria infastidita di chi pensa: cosa me lo chiedi a fare? Tanto sai sempre tutto?
Questa è l’ora della verità: per Dio, per Giuda e anche per noi stessi!
Arriva un tempo nella vita in cui i sotterfugi, i pretesti e le scuse non reggono, crollano e si mettono allo scoperto; un tempo in cui qualcuno di ricorda: tu l’hai detto!
Mentre noi rimaniamo prigionieri dei nostri pretesti e indugi, mentre noi ci chiediamo: “chi sono? sono forse io?”, in quest’ora Gesù è straordinariamente libero per quanto sia catturato e imprigionato; incredibilmente libero perfino su quella croce dove non può muovere un dito.
In quest’ora ci lascia e restiamo straordinariamente liberi. 
Liberi di fare Pasqua o di fare altro.
Liberi di tradire e di rinnegare.
Ma se sceglieremo di stare davanti a Gesù, egli ci chiederà conto di quel che abbiamo detto, di quello che abbiamo taciuto, di quello che abbiamo fatto o non fatto.
Non si può far finta di nulla, come a volte facciamo anche con noi stessi.
Concludo con le parole di papa Francesco: 
Guardiamoci dentro. Se siamo sinceri con noi stessi, vedremo le nostre infedeltà. Quante falsità, ipocrisie e doppiezze! Quante buone intenzioni tradite! Quante promesse non mantenute! Quanti propositi lasciati svanire! Il Signore conosce il nostro cuore meglio di noi, sa quanto siamo deboli e incostanti, quante volte cadiamo, quanta fatica facciamo a rialzarci e quant’è difficile guarire certe ferite. E che cosa ha fatto per venirci incontro, per servirci? Quello che aveva detto per mezzo del profeta: «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente» (Os 14,5). Ci ha guariti prendendo su di sé le nostre infedeltà, togliendoci i nostri tradimenti. Così che noi, anziché scoraggiarci per la paura di non farcela, possiamo alzare lo sguardo verso il Crocifisso, ricevere il suo abbraccio e dire: “Ecco, la mia infedeltà è lì, l’hai presa Tu, Gesù. Mi apri le braccia, mi servi col tuo amore, continui a sostenermi… Allora vado avanti!”.

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